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controllo del cinghiale da altana e girata

2023-05-18 18:50

Collodet Rudy

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controllo del cinghiale da altana e girata

Corso di formazione al controllo del cinghiale

Come in altri paesi europei, anche in Italia negli ultimi decenni il Cinghiale ha notevolmente ampliato il proprio areale, dimostrando una grande adattabilità alle condizioni ecologiche più varie. Tra gli Ungulati italiani esso riveste un ruolo del tutto peculiare, sia per alcune intrinseche caratteristiche biologiche (si pensi ad esempio ai tassi potenziali di accrescimento delle popolazioni), sia perché è indubbiamente la specie più mani-polata e quella che desta maggiori preoccupazioni per l’impatto negativo esercitato nei confronti di importanti attività economiche.
L’evoluzione recente della distribuzione geografica del Cinghiale nel nostro Paese è stata caratterizzata da un andamento sorprendente, tanto per l’ampiezza dei nuovi territori conquistati quanto per la rapidità con cui il fenomeno si è verificato. Nel giro di pochi decenni, infatti, l’areale si è più che quintuplicato, interessando interi settori geografici (es. Arco alpino) ove il Cinghiale mancava da molti decenni, se non da secoli, creando una serie di conseguenze, dirette ed indotte, dagli effetti contraddittori sul piano ecologico, gestionale e sociale. Ad un crescente interesse venatorio per la specie si contrappongo i danni alle colture, spesso considerevoli, e il conflitto sociale che fisiologicamente ne consegue; ad una aumentata ricchezza della comunità di Ungulati, capace di indurre effetti positivi sulla presenza del Lupo, si contrappongono i potenziali impatti su altre componenti della biocenosi, spesso vulnerabili o in precario stato di conservazione. Le cause che hanno favorito l’espansione e la crescita delle popolazioni sono legate a molteplici fattori sulla cui importanza relativa le opinioni non sono univoche. Tra questi, le immissioni a scopo venatorio, iniziate negli anni ‘50, hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale. Effettuati dapprima con cinghiali importati dall’estero, in un secondo tempo i rilasci sono prose- guiti soprattutto con soggetti prodotti in cattività in allevamenti nazionali.
Tali attività di allevamento ed immissione sono state condotte in maniera non programmata e senza tener conto dei principi basilari della pianificazione faunistica e della profilassi sanitaria e, attualmente, il fenomeno sembra inte-ressare costantemente nuove aree con immissioni più o meno abusive (come testimonia la comparsa della specie in alcune aree dell’Arco alpino dove l’im-migrazione spontanea sembra evidentemente da escludersi).
Ancora oggi diverse Amministrazioni provinciali, soprattutto nella partemeridionale del Paese, acquistano direttamente cinghiali per il ripopolamento o autorizzano altri Enti gestori (Ambiti territoriali di caccia, Aziende faunistico venatorie, ecc.) a rilasciare regolarmente in natura animali prodotti in allevamenti. A complicare il quadro contribuiscono, talvolta, gli Enti gestori delle aree protette che, con motivazioni spesso criticabili, destinano al rilascio in ambiti di caccia, liberi o recintati, gli animali catturati nell’ambito dell’attività di controllo numerico.
7Purtroppo buona parte delle Amministrazioni Pubbliche concede autorizzazioni per la realizzazione di nuovi allevamenti senza avere le concrete capacità di garantire il controllo sulle origini, sullo stato sanitario e sulla successiva destinazione dei soggetti allevati. In una situazione di questo genere la distinzione tra allevamenti per la produzione di carne e quelli per la produzione di animali destinati al ripopolamento diventa solo nominale, poiché è il mercato, ufficiale o clandestino, a determinare il reale utilizzo dei capi allevati.
Il conflitto di interessi legato alla presenza del Cinghiale sul territorio, unitamente ad alcune obiettive difficoltà di ordine tecnico (connesse ad esempio alla stima quantitativa delle popolazioni), rende la gestione di questa specie particolarmente roblematica. Il quadro della situazione è inoltre complicato da politiche di gestione spesso inadeguate e carenti sotto il profilo tecnico e organizzativo, che rispondono alle spinte localistiche o settoriali che di volta in volta si manifestano piuttosto che a una strategia di lungo respiro.
Va soprattutto evidenziato come il quadro delle conoscenze circa le consi stenze (assolute o relative) delle popolazioni italiane e la loro evoluzione si presenti assai carente come conseguenza di una gestione del patrimonio faunistico che, con qualche eccezione, è sinora risultata priva delle indispensabili basi tecnico-scientifiche e di un’adeguata programmazione e coordinamento degli interventi.
Rilevanti lacune conoscitive caratterizzano anche importanti aspetti legati alla gestione della specie. Per tutti basti l’esempio del dato relativo alle collisioni con automezzi, fenomeno la cui importanza si è notevolmente accresciuta nel corso degli anni ma del quale esistono solo informazioni esigue e frammentarie, del tutto insufficienti per affrontare una tematica così importante sulla quale grava l’inadeguatezza dell’attuale quadro normativo

 

(fonte linee guida sulla gestione del cinghiale ISPRA)

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